Leggendo il saggio di Sergio Belardinelli sembrerebbe che ciò che va sotto l’etichetta di “politicamente corretto” sia una congerie di azioni e reazioni nate nella sinistra liberal americana, che hanno provocato risposte di carattere identitario anche nella controparte. Mentre la sinistra agita una serie di questioni classiche su inclusione, uguaglianza e diversità, ad avviso di Belardinelli, «a destra, si pensi a Trump [poco oltre definito “soggetto pericoloso”] vediamo all’opera un vago patriottismo che non disdegna l’articolazione fanatica dell’interesse nazionale in termini di razza e di religione». E, in effetti, il titolo del saggio è molto significativo: il politicamente corretto, padre legittimo della cancel culture sarebbe una malattia trasversale, che dalla fine degli anni Settanta ha invaso la cultura politica americana.
È questo modo di trattare il tema che mi trova in cordiale, ma profondo disaccordo. Il movimento trumpiano, e massimamente il suo leader, non hanno mai utilizzato neanche lontanamente alcun richiamo a razza, etnia o cristianesimo. In America oggi qualunque raggruppamento politico che mostrasse una benché minima preferenza per una categoria di cittadini etnicamente profilata sarebbe morto sul nascere. Se poi il favore fosse per quelli di origine europea, il rischio sarebbe una certezza. L’America è ormai il luogo pubblico meno razzista del mondo e per un motivo semplicissimo: nessuno è disposto a pagare gli altissimi costi (essenzialmente la morte civile) che il razzismo comporterebbe. Oltreoceano il continuo cianciare di suprematismo bianco è simile al chiacchiericcio italico sui liberisti selvaggi. Razzisti e liberisti sono figure mitologiche ormai di fantasia che servono solo a promuovere due agende precise: lo statalismo selvaggio in questo Paese e la de-occidentalizzazione in America. Il fatto è che la sinistra ha imposto e reso obbligatorio nel dibattito pubblico uno statuto che non lascia spazio alcuno a occidentalismi di alcun genere.
Cancel culture, wokeism, politicamente corretto, sono in prima battuta soluzioni gramsciane al problema di una sinistra senza bussola, ossia senza classe di riferimento. L’operaio massa è diventato tutto ciò che è altro rispetto al vero, unico colpevole della storia: il maschio bianco adulto di origine europea, il detentore dei mezzi narrativi della storia e il padrone del discorso fino all’altro ieri.
Il tutto nasce in America e si intreccia non solo con le vicende intellettuali della Guerra Fredda, ma anche con la profonda storia di un conflitto mai sanato fra le due parti del paese. La storia degli Stati del sud rappresenta l’epitome di quell’incontro fra popolazioni europee e africane che deve essere cancellato per sempre fin nei meandri più oscuri della coscienza americana. In questi decenni nei quali abbiamo assistito a un crescendo di wokeism la bandiera confederata è diventata un simbolo paragonabile alla svastica. Una parte del Paese, quella non puritana racchiude tutti i peccati dell’uomo bianco sulla terra, dalla schiavitù, alla segregazione, al razzismo, al patriarcato. Il passato americano viene ricostruito a partire da una norma (il New England) rispetto alla quale gli Stati del Sud sono uno scostamento intollerabile che deve essere cancellato. La cancel culture nasce come rimozione di tutti i simboli della nazione sudista e poi si sposta su tutte le società mai esistite fino ad oggi: Grecia antica e Roma sono condannate senza appello proprio perché schiaviste, ossia simili a Dixie. Il Sud è un “altrove assoluto” prima della Guerra Civile e poi diventa nel corso del Novecento un “problema americano”.
Il vero laboratorio che nel corso del Novecento ha originato i dogmi del politicamente corretto è stata l’opposizione fra gli Stati del Sud degli Stati Uniti rispetto al resto del Paese. Le idee politiche e filosofiche che sono state imposte al Sud si sono tradotte in una morale pubblica che è andata raffinandosi nel corso del tempo e, a partire dal processo di desegregazione razziale, ha creato un enorme consenso intorno prima alla politica di non discriminazione, poi di inclusione e nel corso del tempo ha aperto la strada alla lotta senza quartiere a qualunque fobia. Ogni figura un tempo marginale della società rappresenta il nero che siede in fondo all’autobus e deve sedersi al bancone del ristorante nell’Alabama degli anni Cinquanta. Il filo rosso che lega la battaglia per i diritti civili negli Stati post schiavisti alla Critical Race Theory, al femminismo radicale, al discorso politico che ruota tutto su identità, diritti, oppressi e oppressori deve essere tenuto sempre in mente. Il vaso di Pandora del mondo contemporaneo viene scoperchiato nel Dopoguerra a partire dal Delta del Mississippi.
La dittatura del pensiero e sui pensieri che stiamo vivendo è anche la conseguenza di un lungo processo di addomesticamento degli intellettuali ed è il risvolto, nel campo delle idee, dell’inesorabile marcia dello Stato nelle vite dei cittadini. Per ottenere questi livelli di obbedienza popolare a fronte di richieste di danaro e restringimento di spazi libertà senza precedenti nella storia vi è bisogno di un gruppo di intellettuali di professione costantemente impegnati a diffondere il verbo e la scienza di Stato. Ma soprattutto è fondamentale che tutti coloro che escono dal coro subiscano prontamente attacchi e gogne mediatiche. Il potere non ha mai avuto un dominio così incontrastato fra gli intellettuali. Il politicamente corretto è una polizia del pensiero che colpisce pochi, spaventa molti ed è, almeno in apparenza, avversato da tutti.
Concludendo, non credo che questo catechismo civile avrà vita eterna. A mio avviso due saranno le molle che relegheranno questa cappa oppressiva nel museo degli orrori contemporanei. In primo luogo, il senso del ridicolo potrebbe rendere intollerabile una società fatta di lotte al coltello fra transgender, minoranze etniche, donne e minoranze religiose. La rivoluzione divora i suoi figli e questa sembra destinata a metterli uno contro l’altro.
Ma ancora più potente potrebbe essere ciò che è racchiuso nel motto “go woke, go broke!” Nel corso della storia umana abbiamo visto solo un tipo di società in cui la produzione di ricchezza è diventata possibile. È iniziata all'inizio della modernità in Europa e poi è stata esportata, con successo o meno, in tutto il mondo. Gli individui applicavano la loro creatività in modo libero e quasi inconsapevole per arricchire se stessi e la società. La produzione avveniva – proprio come denunciava Marx – senza alcun controllo razionale. Dubito che un mondo ossessionato dal mito della giustizia, della diversità e dell’inclusione sarebbe un luogo in cui il capitalismo e la creatività umana prospererebbero. Quando ci si troverà di fronte al bivio definitivo fra prosperità e wokeism, sono certo che gli americani sapranno cosa scegliere.