L’Unione europea tra (evidenti) deficit e (indubbi) successi
di Lorenzo Zambernardi (Università di Bologna)
Quella europea è di certo un’architettura istituzionale complessa, non del tutto coerente, eppure funzionante e, ammettiamolo, di grande successo. Le principali istituzioni di questa architettura, come noto, sono sei: il Consiglio europeo, la Commissione, il Consiglio dell’Unione europea, il Parlamento, la Banca Centrale (BCE) e la Corte di giustizia. Il Consiglio europeo rappresenta gli Stati membri, non esercita funzioni legislative, non negozia e non amministra. Forse, si potrebbe dire, utilizzando una vecchia e celebre formula politica, che “regna ma non governa”, dal momento che il suo ruolo è quello di fornire l’impulso necessario allo sviluppo dell’Unione, definendone gli orientamenti e le priorità politiche generali senza però gestire la politica corrente. La Commissione europea promuove invece l’interesse comune europeo: i suoi membri non rappresentano gli Stati membri da cui provengono, ed è una sorta di governo dell’Unione. La caratteristica distintiva della Commissione è il potere di iniziativa nel processo legislativo, che le è stato conferito in modo esclusivo. È l’organo, dunque, che elabora qualsiasi proposta di legge (regolamento o direttiva) che sia necessaria per attuare i trattati. La Commissione, inoltre, negozia gli accordi internazionali che dovranno essere poi sottoposti al Consiglio dell’Unione europea. Quest’ultima istituzione rappresenta, invece, gli Stati membri e svolge la funzione legislativa e di bilancio. In altre parole, il potere di legiferare a livello europeo è stato affidato, almeno tradizionalmente, agli Stati e non ai rappresentanti eletti dal popolo, come generalmente avviene all’interno degli Stati.
Robi Ronza sottolinea, in modo corretto ed efficace, come questa complessa architettura istituzionale, che qui si è cercato di descrivere per sommi capi, sia stata il frutto di trattati sottoscritti fra Stati. Secondo Ronza sarebbe proprio questo sviluppo per trattati a essere il peccato originale del processo di integrazione. In primo luogo, perché negli accordi alla base del processo d’integrazione non erano indicati i trattati tra Stati come la via maestra da seguire. In secondo luogo, tale modalità contraddice il principio della sovranità popolare: infatti, gli Stati membri hanno bypassato il popolo quando hanno deciso di cedere quote di sovranità prima alle Comunità europee e poi, con il Trattato di Maastricht, all’Unione Europea.
La linea argomentativa di Ronza s’inserisce in parte nella vasta e importante letteratura relativa al deficit democratico dell’Unione, la quale sottolinea come quest’ultima sia una costruzione artificiale e tecnocratica fatta dagli Stati per gli Stati e che contraddice appunto il fondamento politico delle democrazie, ovvero la sovranità popolare. Un problema, è inutile negarlo, che non è mai stato del tutto risolto. Tuttavia, alcune riforme avviate, in decenni diversi, hanno cercato di rispondere a questo deficit. Non solo infatti, come nota Ronza, la vecchia Assemblea Comune della Ceca, nominata dagli Stati membri, è stata trasformata in una istituzione eletta direttamente dai popoli europei, ma sono stati ampliati – tramite proprio i trattati! – i poteri del Parlamento europeo.
Il ruolo del Parlamento si è infatti rafforzato in modo significativo negli ultimi trent’anni: da organo puramente consuntivo, è divenuto un elemento fondamentale del processo legislativo dell’Unione. Se infatti, fino al 1992, il Parlamento aveva la sola facoltà di esprimere pareri non vincolanti sulla legislazione europea si è passati alla procedura di “co-decisione”. Con il Trattato di Lisbona, la co-decisione è poi divenuta la procedura legislativa ordinaria. In tal modo il Parlamento è stato posto su un piano di parità con l’istituzione che storicamente deteneva il potere legislativo, ovvero il Consiglio dell’Ue. Inoltre, i poteri del Parlamento sono stati ampliati anche nel campo della politica estera: con l’Atto Unico Europeo (1987) la stipula di qualsiasi trattato di adesione di un nuovo Stato membro o di associazione è soggetta al parere del Parlamento europeo. In altre parole, l’istituzione che rappresenta i popoli europei – che esprime dunque la sovranità popolare – ha un ruolo fondamentale nel processo di allargamento, che secondo alcuni è il più importante strumento di politica estera dell’Unione.
La centralità del Parlamento è stata poi rafforzata anche dal trattato di Lisbona (2009), che stabilisce che si deve tener conto dei risultati delle elezioni europee quando il Consiglio Europeo, dopo appropriate consultazioni e deliberando a maggioranza qualificata, propone al Parlamento il candidato alla carica di Presidente della Commissione. Così come è bene ricordare che la Commissione è collegialmente responsabile di fronte al Parlamento: se il Parlamento approva una mozione di censura nei confronti della Commissione, tutti i membri di quest'ultima devono dimettersi dalle loro funzioni. Infine, nel campo legislativo, al Parlamento europeo è stato affidato un diritto di iniziativa indiretto: può infatti chiedere alla Commissione di presentare una proposta di legge e la Commissione è tenuta a motivare un suo eventuale rifiuto.
Qualche progresso è stato, pertanto, fatto al fine di avvicinare Bruxelles ai popoli europei, fornendo al Parlamento un ruolo più rilevante in campo legislativo e nelle decisioni relative all’allargamento. Di certo, altre riforme sono e saranno necessarie. Ma mi pareva giusto evidenziare che modifiche sostanziali e migliorative sono state operate per rispondere al deficit democratico di cui forse, troppo ingiustamente, è stata talvolta accusata la tanto vituperata Unione Europea.