Il saggio di Paolo Terenzi fotografa in maniera sintetica ed efficace lo stato attuale del sistema scolastico italiano. Ritengo, comunque, che occorra individuare il cuore della questione, e cioè il ruolo del tutto marginale della famiglia nel sistema scolastico. Essa non ne è per nulla protagonista, ma viene concepita come mero soggetto utente di servizi visti alla stessa stregua dei trasporti o delle comunicazioni o della difesa, quando invece l’educazione è il cuore di ciò che nei secoli ha reso l’Italia ciò che è: in termini di bellezza, intelligenza, inventiva, creatività. Questa è una posizione ideologica corollario dell’idea di stato che purtroppo continuiamo a sostenere, più o meno coscientemente.
L’altro grande problema del sistema scolastico (come pure di quello universitario) italiano è il valore degli studi: esso dipende graniticamente dallo Stato, dunque l’unico rimedio è l’abolizione del valore legale dei titoli di studio. Se esso verrà meno (e per conseguenza tutto l’apparato burocratico che lo regge e che da esso trae giustificazione), il sistema si trasformerà rapidamente e in tal modo si dovrà attuare la nuova allocazione delle risorse del bilancio dello stato che lo sostengono. Tutto questo, ancor prima di riproporre le ultradecennali, sterili discussioni e le infruttuose trattative sulla questione degli “oneri per lo stato” e sulla sua interpretazione, o su voucher (rimedio pragmaticamente efficace ma che non intacca minimamente il principio che giustifica il sistema per come è) o quel che si vuole.
Vi è, inoltre, la questione del costo del sistema, che ricade indistintamente su ciascuno dei cittadini, inclusi quelli che invece pagano per un’educazione libera dei propri figli ottenuta fuori dal contesto statale. Posto che sia chiaro e fuori di dubbio che le scuole paritarie e parentali rappresentano una risorsa attiva per la Nazione, è proprio questo aspetto che rende palese la flagrante iniquità del sistema: le resistenze sul principio, paludate da idee “nobili” come la laicità, sono dirette solamente a tutelare il sistema in quanto tale, che si regge su se stesso. I dipendenti a vario titolo del Ministero dell’Istruzione formano un numero così ampio da costituire un sin troppo allettante bacino di consenso elettorale, tanto da creare un deterrente fortissimo a non modificare nulla dell’assetto complessivo del sistema scuola, che così risulta luogo di conquista e preda della burocrazia e dell’arbitrio conseguente alla produzioni di norme di rango secondario, spesso inadeguate e contraddittorie, che di fatto orientano e decidono la vita della scuola molto più delle leggi stesse.
In tal modo la perorazione della libertà di educazione presente negli artt. 30 e 33 della Carta Costituzionale è l’unico e se vogliamo l’ultimo baluardo di essa, ma è un baluardo formale (peggio sarebbe se non ci fosse, certo), e la disparità di trattamento tra chi frequenta la scuola dello stato e chi no rende la libertà di educazione proclamata dalla Costituzione solo vox clamantis in deserto e obbliga chi la vuole praticare a far da solo. È ben vero che, se non ci fosse questo richiamo, non esisterebbero le sempre più numerose esperienze di scuola parentale, le quali invece incarnano l’idea di un sistema educativo realmente libero, fecondo, vero nerbo di una società fatta di famiglie e di istituzioni anche spontanee che collaborano tra di loro. Solo questo può incarnare la sussidiarietà vera che, altrimenti, come il saggio evidenzia, diventa sussidiarietà al contrario. Concetti come l’equipollenza dei titoli prodotti dalle scuole paritarie, o l’autonomia scolastica, ad esempio, non integrano la realizzazione, neppure su un piano meramente pragmatico, del principio della libertà di educazione: sono solo un appiglio per poter dire che la libertà educativa delle scuole non statali formalmente esiste.
Tutti i partiti dell’attuale contesto politico nazionale danno per accettato sic et simpliciter il sistema, considerandolo unico ed immodificabile. Chi vuole, dunque, vedere la libertà di educazione realmente attuata e perseguita secondo una visione sostanziale farà bene a guardarsi dalle forze che non hanno nulla dell’idea di libertà nel proprio DNA, vuoi per rifiuto espresso, vuoi per insipienza e ricerca del mero consenso. Storicamente la riforma Gentile ha sancito un irrigidimento degli indirizzi scolastici e del sistema stesso che negli anni nessun governo di qualsivoglia colore si è sognato di modificare ab imis. L’impianto del sistema pensato da Gentile è praticamente intatto, e così l’ideologia statalista che accomuna tutti coloro che fanno riferimento cosciente o meno al pensiero hegeliano, sia a destra che a sinistra. È necessaria una vera e propria rivoluzione, così come un radicale ripensamento del sistema, che costituiscano un elemento di discontinuità con quello attuale, collocando al centro la famiglia titolare del diritto-dovere di educare i figli secondo le proprie convinzioni. Bello il richiamo che il saggio fa al motto coraggioso di don Luigi Giussani (“mandateci nudi…”): ma dov’è finito oggi questo richiamo?
Il fermento che intravedo nel mondo delle nascenti scuole parentali, pur nella loro varietà di ideali e contingenze che le muovono, sembra trarre spunto proprio da quel felice slogan. Personalmente l’ho fatto mio, partecipando negli ultimi trent’anni a tutto ciò che andava verso la realizzazione concreta del principio di libertà nell’educazione e del reale protagonismo delle famiglie nella vita educativa del nostro paese, e negli ultimi quindici anni decidendo di contribuire a fondare una scuola parentale e a sostenere tutti coloro che volevano fondarne altre, rivolgendosi al gruppo di famiglie che ha realizzato la nostra. Dunque, non più sperando nell’uno o nell’altro sagace progetto politico ma attuando in concreto ciò che credo fermamente essere il bene per la nostra Italia. Personalmente sogno un sistema scolastico fatto di scuole parentali in cui lo stato costituisca solo il rimedio ove la società non riesce ad esprimere se stessa.
Non entro nel dettaglio delle sistematiche vessazioni e disparità che deve affrontare chi decide di percorrere il corso d’istruzione attraverso l’educazione parentale, ma esso è quanto mai significativo circa la realtà del sistema scolastico italiano, ben lontano dallo standard di un sistema realmente democratico.