La reazione di una giovane studentessa al distruttivismo woke
di Josephine Dufour (studentessa universitaria)
La storia intreccia in se stessa continuità e discontinuità. Ciò dà vita a una danza fra sopravvivenze del passato e semi di novità: il dramma di oggi è proprio il disfacimento della continuità culturale. La cancel culture è «una malattia sempre più trasversale», come recita il titolo del saggio di Sergio Belardinelli, perché ha come obiettivo la demolizione di quella solida eredità che ha dato origine alle fondamenta di tutte le cose: l’idea di uomo e della sua natura e la realtà ereditata dall’umanesimo occidentale cristiano. In questo senso, il sociologo Frank Furedi ha parlato di «catastrofe antropologica e sociale». L’ideologia woke cerca di sostituirsi alla cultura tradizionale e impone una dittatura del relativismo che riduce l’uomo al suo stato economico, alla sua identità razziale, sessuale o d’altro tipo, e lo destina a un’esistenza solitaria, senza radici, guidata da ciò che prova o sente, essendo stati recisi prima tutti i contatti col reale e il prossimo, il vero.
La nostra eredità culturale occidentale è costituita dall’incontro di diverse tradizioni: greca, romana ed ebraico-cristiana. Atene ha trasmesso il valore della filosofia: la ricerca del buono, del bello e del vero tramite il libero esercizio della ragione, capace di conoscere la natura che accomuna tutti gli uomini, e che individua nell’anima i grandi valori. Roma ha introdotto il diritto naturale mediante le leggi, un’esperienza tradotta con finalità pratiche. Gerusalemme, infine, si è unita alla fede cattolica e veicola la concezione dell’essere umano quale figlio di Dio, detentore del valore incommensurabile della dignità dell’essere umano. Inoltre, culturalmente sottesa a questo, era l’idea che qualsiasi potere arbitrario e senza limiti fosse contrario alla natura umana e alla legge divina.
L’inizio del processo di cancellazione della memoria culturale è cominciato tempo fa, abbattendo gradualmente le fondamenta sopradette: il diritto romano, la filosofia greca e la fede cattolica. Importanti in questo quadro di rivoluzione del sapere sono le idee introdotte da Cartesio prima, e Rousseau poi: “cogito ergo sum” è la base da cui partire mentre il resto è falso, e la natura e la cultura sono antitetiche. La cultura, dunque, in quanto depositaria delle arti e delle scienze, e risultato dell’esercizio della ratio umana, è distruttiva e incatena l’uomo, che invece dovrebbe tornare a una sorta di condizione naturale, simile a quella di un neonato. Parallelamente è iniziata la crisi della trasmissione del sapere, trasformando lo spazio educativo, con i suoi scopi e metodi, e, ancora più importante, il linguaggio, grande canale del sapere.
Le parole, infatti, quando rendono manifesta la realtà, rispettano la verità. Oggi, invece, si sta creando una «neolingua in senso orwelliano», scrive Belardinelli, causando la dissoluzione del linguaggio, che diventa strumento di lotta o potere, perché non persegue il reale, ma un certo interesse o addirittura impone una visione (il cosiddetto linguaggio “inclusivo”). In tale direzione si muovono purtroppo sempre più anche le agende politiche, le quali assecondano questo clima di multiculturalismo relativistico, introducendo diritti discriminatori – una sorta di risarcimento da assegnare per riequilibrare ingiustizie precedentemente subite a favore di alcune categorie sociali – e promuovendo leggi che fanno prevalere «le diversità, nemiche e inconciliabili tra loro», anziché, per dirla con Laura Boccenti, quelle in linea con la «comune natura umana, vero fondamento del bene comune e della pace sociale».
In questo panorama di continua e incessante trasformazione e costruzione di una “società nuova” agiscono con un’enorme influenza i media, i quali favoriscono la trasmissione di determinati contenuti nelle varie piattaforme, censurando ciò che è tradizionale o che si rifà al bagaglio culturale del passato. I mass media creano spazi in cui, paradossalmente, si crea un’atmosfera intollerante e discriminatoria, giustificata in quanto orientata all’ “inclusività” e a favore di una “mentalità aperta”. Il fatto è che, invece, questa visione del mondo si rivela essere oppressiva, perché imposta, vaga e priva di fondamenti, poiché relativa (ovvero “espressione di una volontà che non riconosce altro limite che sé stessa”, scrive Belardinelli), divisoria, liberticida.
A fronte di questa situazione – falsa per alcuni, vera e drammatica per altri – voglio condividere la ricchezza di un’amicizia che ho avuto la fortuna di incontrare. Ho approfondito, infatti, durante il mio percorso liceale, la conoscenza di alcune ragazze con cui, poi, ho stretto un legame molto speciale. Con ciascuna ho avuto l’occasione di stringere un bel rapporto grazie all’ascolto reciproco, alla pazienza silenziosa di fronte a opinioni diverse, alla curiosità di scoprire cose nuove, al desiderio di scambiare idee e crescere intellettualmente insieme. Ci siamo confrontate su molte tematiche particolarmente sentite dalla società e ciascuna ha espresso liberamente il proprio punto di vista. Capitava che le discussioni si accendessero, ma rivedo in ogni confronto un atteggiamento disponibile, onesto, razionale e, soprattutto, umile di fronte alla conoscenza. È da questo “spirito di verità”, come sostiene anche Belardinelli, che, forse, si potrebbe partire per ricostruire un tessuto comune che consenta la reciproca comprensione.