Molto centrata la definizione di Fabris di ambiente per il mondo dell’ICT. Suona ancor meglio il tedesco Umwelt. Non dimenticando mai che tale Umwelt è – dice Heidegger – un Gestell. Anzi, forse, per quel che si può immaginare, la forma compiuta di Gestell. E che tale Gestell, costituito come Umwelt, ci interpella in una sempre più intensa interazione. La seconda considerazione è che è vero che noi si vive così, per certi versi, in due mondi, quello fisico e quello digitale, persino con identità distinte, ma che, per altro verso, l’ambizione del mondo presieduto da internet è quella di trasformare ogni spazio fisico in ambiente navigabile. L’internet degli oggetti è già un salto, la smart home un altro. Il nuovo mondo – come afferma Eric Schmidt – è questo. Il mondo digitalizzato. L’intelligenza artificiale costituirà a breve un altro enorme salto in questa direzione. Ma prima occorre, in questa breve riflessione, fare un altro passaggio.
È necessario veder bene come funziona il “congegno”. Esso funziona catturando e immagazzinando informazioni dai suoi interlocutori umani. E processando i loro comportamenti, le loro emozioni traducendole in dati. Nei Big data. La nostra lavatrice e la nostra flora intestinale, il nostro sguardo mentre apponiamo un like, tutto viene schiacciato indifferentemente in una sola dimensione: nei dati che possono essere disaggregati, ricostruiti e poi manipolati, indirizzati, venduti. Nulla è più indifferente al Gestell e al suo processo del concetto di verità mentre il suo prodotto naturale è in certo senso una fake news nel senso di una news comunque non solo artefatta ma artificiosa. È il mondo del calcolabile. E basta. È il mondo del quantificabile e basta. Dobbiamo sapere che l’intelligenza artificiale è una “persona” che funziona così. Ha poteri quantitativi e di rapidità straordinari (di qui la sua forse irrinunciabile utilità) ma la sua intelligenza è comunque solo calcolante e quantitativa. La struttura è probabilistica. La sua “saggezza” nasce dalla quantità straordinaria di dati che accumula e processa. Possiamo dire che elabora? Sì ma sapendo di che tipo di elaborazione si tratta. Possiamo dire che decide? Qui lascio aperta la domanda.
Un’altra cosa è necessario aver chiara. Questa intelligenza ci scruta per catturare dati e nostri comportamenti e scelte per rimandarci informazioni che a noi suonano bene esattamente perché ci “corrispondono”. In effetti è come stare davanti a uno specchio. Chiusi in un ambiente fatto di specchi. Tutto corrisponde ai nostri gusti e ai gusti medi prevalenti nel nostro campo. Lavorativo o di consumo non importa. Tale meccanismo mira a identificare leggi di comportamento degli individui e generali. A misurare il comportamento per prevederlo e poi blandirlo, sollecitarlo, indirizzarlo, correggerlo, se serve, verso lo standard. Il politically correct a un certo livello. Vi è, direi, una oggettivazione dei soggetti. Marx, con linguaggio arcaico, avrebbe potuto dire che vi è reificazione. Meglio: alienazione ma non riappropriazione bensì restituzione attraverso il rispecchiamento. Qui occorre approfondire perché qui è la massima ambivalenza, l’origine della invincibile seduzione e insieme della minaccia dell’intelligenza artificiale. Che tutto ti offre ma non la contraddizione e lo sguardo critico. Perciò il nuovo mondo ha una irrefrenabile propensione all’ingegneria sociale e in genere a sostituire la politica con la pianificazione tecnologica e tecno-economica. Pensiamo a come appare, a chi guardi dall’alto, una strada con semafori e con centinaia di persone che si fermano e poi si muovono simultaneamente al passaggio dal rosso al verde. Ebbene il sogno di tutti i pionieri del nuovo mondo è di regolare così la vita di tutte le comunità umane. Comunità permanentemente uniformate e sedate. Pensiamo solo a Barrhus Skinner e alla teoria del condizionamento operante.
Di fronte a tutto questo non dissento dall’ipotesi di un’etica commisurata avanzata da Fabris. Mi chiedo però: quali le sorgenti di una tale etica? Quali i criteri di bene e di male? Quali modelli di virtù? Posto che essi non possono venirci dal nostro “grande interlocutore” per sua costituzione, come si è detto, refrattario a ogni criterio qualitativo, morale. Più che un’etica sarebbe necessaria, credo, una ascetica, con un distacco previo da questo “mondo”. In certo senso sarebbe necessaria la luce di una nuova civiltà.
E allora vorrei qui sollevare l’interrogativo più inquietante. L’intelligenza artificiale ha un grande padre: il pensiero occidentale. Attraverso l’esclusione di Dio, il laicismo, il razionalismo, il positivismo il pensiero occidentale ha prodotto in questi secoli moderni il dominio della tecnica, lo sviluppo tecnologico e infine l’intelligenza artificiale. Il frutto è notevole ma è stato pagato al prezzo di un potenziamento che è a un tempo un impoverimento del pensiero. Se vogliamo dello spirito occidentale. È un percorso che ha portato all’abolizione di ogni possibilità di trascendenza e all’immanenza perfetta. Può da tale immanenza perfetta scaturire un’etica e ancor più una ascetica? Non sembra piuttosto che, per dirla con Peter Sloterdijk, l’unica etica possibile per l’individuo tecnologico occidentale sia quella epicurea: piacere e una paura per il dolore sedata da immunizzazione e sicurezza? Era in fondo quanto già un secolo e mezzo fa preconizzava Nietzsche parlando dell’ultimo uomo. E allora qui vi è ancora un’altra domanda da porre. La tecnologia – come dice Kurzwell – è la continuazione dell’evoluzione con altri mezzi ovvero, oggi essa ci pone di fronte a un bivio antropologico che nessuna tecnologia può decidere per noi? Volontà, libertà, dignità umana sono arcaismi da affidare fiduciosi a un futuro razionalizzato e agli ingegneri del comportamento, che un giorno possano diventare magari oltre che decisori della finanza anche giudici e magari politici? Oppure no?
Il tema, come è chiaro, è quello della libertà. E inevitabilmente della verità. Il rischio è la sua riduzione a libertà del like, a libertismo, a quello che altrove ho definito “sovranismo individuale”, senza possibile criterio morale e senza scopo che non sia il soddisfacimento presente. Il rischio è che anche il lavoro consegni lo stesso individuo sovrano al ruolo di appendice dell’AI. La centralità del calcolabile e del quantificabile potrebbe fare degli influencer i soli possibili maître à penser persino leader del prossimo futuro. Ventriloqui, certo, di algoritmi finanziari e militari e di piattaforme connesse. Il problema è quello di una ascetica in grado di garantire un distacco-padronanza del mondo nuovo. La domanda correlativa, daccapo, è: l’uomo occidentale è ancora in grado di padroneggiare il processo o il suo pensiero si è così impoverito nello sforzo di partorire la sua creatura tecnologica da esserne divenuto incapace? Può in altri termini il mondo del quantificabile divenuto smisurato e quello dell’immanenza perfetta trovare lo spazio della trascendenza necessaria a una inaudita padronanza?
Concluderei qui con la “schiuma” e le “bolle” di Sloterdijk anche se dichiaro a un tempo di non seguire sino in fondo la strada da lui indicata. Nelle celle degli antichi monaci cristiani da cui tutto ha avuto inizio, l’individualismo e la tecnologia, vi era una bi-unità e un dialogo: Dio e l’uomo. Negli appartamentini per single tutti smart come la casa di Bill Gates e di più, l’accoppiamento sarà tra l’individuo e il proprio “specchio intelligente”, immanenza e narcisismo perfetti. Individui chiusi in una passività estatica – sia che consumino sia che lavorino – e sollecitati da un esterno che è in realtà, come abbiamo visto, un proprio interno infinitamente rielaborato e restituito. Davvero non è la stessa cosa. Andrà così? È questa l’evoluzione possibile? Il lucore della verità di cui parlava Heidegger è destinato a farsi luce al neon? O invece l’uomo occidentale sarà capace di ascetica? O ancora, come penso sia più probabile, l’Occidente, che ha avuto lo straordinario merito di dar vita all’individuo e con esso alla libertà, alla ricerca e infine alla tecnologia, non ce la farà a trascendere il proprio prodotto e l’incantesimo del Gestell, e dovrà allora solo assistere – è augurabile senza catastrofi anche se esse non sono escluse – al declino della propria civilizzazione e all’ascesa di qualcosa di nuovo da parte di altre comunità, più primitive ma forse proprio perciò antropologicamente meno impoverite e quindi più in grado di governare con distacco e ascesi il mondo dell’intelligenza artificiale.