Le domande cruciali a cui secondo me bisogna rispondere in tema di “libertà di educazione” sono due. La prima: qual è l’assetto istituzionale e di governance che può garantire la libertà di educazione, in forza della quale i genitori possono scegliere per i figli l’istituto scolastico che, a loro insindacabile parere, garantisca l’offerta educativa migliore?
L’idea dell’autonomia scolastica aveva avuto un lancio ufficiale nel corso della Conferenza nazionale della Scuola, tenutasi tra il 30 gennaio e il 3 febbraio 1990 (ai cui tempi il Ministro dell’Istruzione era Sergio Mattarella), e con relatore principale Sabino Cassese. La sua relazione era intitolata Plaidoyer per un'autentica autonomia delle scuole. Spiegava che non esiste la scuola, ma le scuole e che, pertanto, “non dovrebbe esistere un governo della scuola, ma l’autogoverno delle scuole”. Essa proponeva le seguenti linee d’azione:
· riconoscere che l'istruzione, in quanto servizio collettivo pubblico, può essere erogata da Istituti autonomi;
· attribuire agli istituti scolastici autonomia non solo didattica, organizzativa e amministrativa, ma anche contabile e di gestione del personale;
· spogliare l’apparato centrale dei compiti gestionali, attribuendogli funzioni di determinazione di standard e di "guide lines" e funzioni di valutazione e di audit;
· sopprimere gli uffici provinciali – i Provveditorati agli studi – e sostituirli con organismi di “relais” tra gli istituti scolastici.
La filosofia politica che ispirava la Relazione Cassese era che la scuola è una funzione della società civile, non è un’articolazione dell’Amministrazione dello Stato. Essa nasce, come confermano le citazioni di Terenzi, “dal rapporto dinamico tra scuole, insegnanti, famiglie, studenti, società civile. Il legame della scuola con la società civile e con il territorio può essere un cardine dei sistemi educativi nella società della conoscenza. La collaborazione con imprese, associazioni di categoria, fondazioni, privato sociale, associazioni potrebbe liberare energie umane ed economiche…”.
Il modello Cassese rovescia quello storico di origine prussiana e napoleonica, in forza del quale lo Stato, la statualità, il cittadino-di-Stato si costruiscono attraverso il sistema di educazione/istruzione. Perciò non esistono le scuole, ma la Scuola, come articolazione interna dello Stato. Fino al 1848 negli Stati italiani la scuola dipendeva dal Ministero dell’Interno. Il modello prussiano-napoleonico è stato consapevolmente adottato dal Ministro Gabrio Casati, quando in un colloquio con il Re, nel 1859, illustra i modelli allora vigenti in Europa: “Tre sistemi principali si offrivano da abbracciare: quello d’una libertà assoluta, la quale, come in Inghilterra, esclude ogni ingerenza governativa; quello in cui, come nel Belgio, è concesso agli stabilimenti privati di far concorrenza cogli istituti dello Stato; quello, infine, praticato in molti paesi della Germania, dove lo Stato provvede all’insegnamento non solo con istituti suoi propri, ma ne mantiene eziandio la direzione superiore, ammettendo però la concorrenza degli insegnamenti privati con quelli ufficiali”.
Questo modello sarà ulteriormente razionalizzato e ideologicamente fondato dal liberal-conservatore Giovanni Gentile nel 1922. Passerà integralmente nella Repubblica, dove tuttora si trova ben radicato. Luigi Berlinguer ha provato a spezzarlo, su suggerimento di Sabino Cassese e di molti altri. Non ha funzionato. In primo luogo, perché la formulazione di legge ha finito per considerare l’autonomia come funzionale, quindi ancora quale articolazione dell’apparato, e non sostanziale. Il punto critico è quello della gestione diretta del personale: formare, assumere, licenziare. Le resistenze vittoriose al disegno dell’autonomia sono arrivate dai sindacati e dall’apparato ministeriale. Dai sindacati, perché le autonomie scolastiche avrebbero aumentato, secondo la loro vulgata, le diseguaglianze, perché avrebbero generato differenze di carriere e di stipendi del personale e perché i sindacati nazionali avrebbe perso potere a livello centrale – ma questo non l’hanno mai confessato – a favore della contrattazione articolata, scuola per scuola. Quanto all’apparato del Ministero, si sarebbe ridotto dalle dimensioni di un pachiderma a quelle di un topolino.
Seconda domanda: quale architettura istituzionale e di governance per le scuole autonome? La risposta si può così articolare secondo due punti:
· un insieme di soggetti della società civile – famiglie, parrocchie, imprese, singoli individui e così via – decide di istituire una scuola, cioè di fare un’offerta educativa in un determinato territorio;
· si costituisce un Consiglio di Amministrazione – gli IPSIA: li avevano istituiti fin dagli anni Cinquanta! – il quale assume un dirigente, che a sua volta assume/licenzia il personale e forma nuovo personale.
Questo significa la dissoluzione dell’attuale sistema in un’anarchia di 40 mila sedi e 8 mila autonomie, cioè quante sono oggi? No, il carattere pubblico nazionale del sistema di educazione/istruzione deve essere garantito da tre livelli (più uno):
· i voucher: ogni ragazzo che entri in età scolare ha diritto all’istruzione pubblica e, perciò, agli 8.000 euro annui, oggi mediamente stimati come necessari; la famiglia sceglie in quale scuola spenderli;
· un’Authority del Curriculum (potrebbe essere l’attuale INDIRE), che stabilisce a livello nazionale il Sillabo delle conoscenze/competenze chiave; essa è composta da docenti, dirigenti, professori universitari, imprese;
· un sistema nazionale di ispettorato (l’INVALSI opportunamente rimodulato?) che si avvalga, analogamente all’inglese “Office for Standards in Education”, di un corpo di ispettori, composto da dirigenti, docenti, esperti in scienze dell’educazione, che vengono periodicamente – in Inghilterra ogni tre anni – inviati nelle scuole e che utilizzano test, colloqui, osservazioni dirette per accertare la qualità dell’offerta educativa delle scuole autonome. Qualora la scuola non rispetti gli standard e non sia in grado di migliorarli in tempi ragionevoli, viene chiusa;
· infine, un Ministero dell’Istruzione che prende decisioni sulla base dei punti sopradetti, che fa ricerca, che tiene i rapporti internazionali con altri sistemi educativi.