Politicamente corretto 4.0: motivi storici e contromosse culturali
di Giovanni Maddalena (Università del Molise)
Il discorso sul politicamente corretto esigerebbe molte specificazioni, anche per individuarne le comprensibili richieste di giustizia sociale. Tuttavia, per semplificare, vale forse la pena riprendere la classificazione di Mastrocola-Ricolfi (2021) che ne enucleano 6 sotto-tipologie: 1) suscettibilità estrema; 2) misgendering, l’errore di attribuzione di genere a cui si vuole rimediare con schwa, asterischi, pronomi ecc.; 3) la cancel culture che abbatte i monumenti; 4) la discriminazione contro chi non partecipa a una campagna ideologica; 5) la politica dell’identità e dell’appropriazione, ossia il ritenere che solo uno che appartiene a una minoranza può dire qualcosa di quella minoranza; 6) la discriminazione della maggioranza per riequilibrare le ingiustizie subite dalle minoranze.
In tutti questi tipi c’è una versione comprensibile e una richiesta adeguata di giustizia: in fondo è giusto ribellarsi ad abusi fisici e psicologici, sentire rispettata la propria identità, non volere la monumentalizzazione fisica o morale di persone che fanno il male, come si vede dal fatto che non vogliamo statue di Mussolini e non vorremmo quelle di Hitler o Stalin, schierarsi quando si crede in qualcosa e provare a convincerne gli altri, parlare solo quando si è davvero competenti di qualcosa, ammettere che non sempre la maggioranza ha ragione.
Ciò che denomino politicamente corretto 4.0 è l’estremizzazione ideologica di queste comprensibili attenzioni di giustizia sociale nate nel secondo dopoguerra negli Stati Uniti e da lì propagatesi in tutto il mondo. L’ideologia, anche in questo caso, è una verità impazzita, squilibrata, isolata, violentemente propagata. L’essere umano è tendenzialmente ideologico, come ha ben spiegato Vasilij Grossman (Maddalena 2023), e lo è sempre stato, ma la tecnologia novecentesca e quella attuale basata su social network e intelligenza artificiale – a cui fa riferimento anche Sergio Belardinelli – ha certamente aumentato la diffusione in estensione e intensione, rendendo plausibile il formarsi di un mondo diviso in piccole tribù ideologiche, segregate fra di loro e autoreferenziali. Individuo, in sostanza, tre radici principali – politica, religiosa, filosofica – del politicamente corretto 4.0, suggerendo delle vie d’uscita.
Le prime manifestazioni imponenti di politicamente corretto linguistico sono degli anni ’70 del secolo scorso e, come detto, derivano dalle battaglie di giustizia sociale degli anni ’60. Tuttavia, la radice politica di questa forma di protesta ha forse una storia più profonda e coincide con l’isolamento dell’individuo rispetto a un potere gestito non in base a principi filosofi ed etici espliciti, ma attraverso una tecnocrazia apparentemente inoppugnabile (Del Noce 1978, Rosboch 2021). In maniera interessante, il filosofo americano Michael Sandel riferiva questa radicalizzazione su temi linguistici e individualistici a partire dalla rottura del carattere autenticamente sociale della politica intervenuto con il New Deal roosveltiano. Secondo Sandel, Roosvelt si era trovato a dover decidere se accettare le riforme in senso social-democratico che gli proponeva la sinistra del suo partito o le spinte ultra-liberiste del capitalismo repubblicano. Alla fine, aveva trovato una terza via: appoggiarsi a una lettura dell’economia come scienza matematica, secondo la lezione di Keynes, separando così la verità “tecnica” dell’economia dalle scelte etiche (disciplina nella quale l’economia era fino ad allora compresa) e da quelle politiche. Nasceva l’idea del neutro (Sandel 1996). Quando i grandi temi economici e sociali sono tolti dalla disponibilità della politica, a essa rimane la battaglia importante ma parziale dei temi etici e linguistici, sganciati dalla possibilità di una riforma più sistematica.
Se si vuole combattere questa radice, occorre sottolineare quanto sia importante un mondo dove la politica sia nuovamente parte di un progetto umano complessivo e non semplicemente affidata ai tecnici. Le soluzioni pratiche che da ciò provengono riguardano soprattutto progetti di nuova intermediazione. È in questa difesa della libertà di associazione, a tutti i livelli, che si attua il pensiero profondo della sussidiarietà, che deve valere in ogni società e anche nella dinamica interstatale europea.
Non è un caso che, nelle sue forme più estreme, il politicamente corretto nasca negli Stati Uniti, che hanno una forte tradizione calvinista. La drittura morale in generale, e la coerenza etica in particolare, sono una cifra decisiva della teologia calvinista perché in esse si riflette la relazione personale con un Dio severo, la cui prescelta rimane misteriosa e i cui decreti devono essere precisamente e letteralmente eseguiti, a ogni costo, perché in essi ne va della salvezza. Contrariamente a quanto accade in Paesi di retaggio cattolico, la politica resta poi legata alla religione perché i decreti divini devono trovare realizzazione pratica e civile concepita con altrettanta coerenza. Sembra strano parlare di questi temi nella prima metà del XXI secolo ma non si deve dimenticare che la storia della secolarizzazione statunitense è molto più lenta e meno violenta di quella europea. Ciò significa che anche chi vive ormai lontano da dettami religiosi, tende a vivere con affettività e attaccamento religiosi le battaglie di carattere etico-civile, fornendo alla radicalizzazione politica un afflato etico e sentimentale.
La risposta all’aspetto religioso di questa cultura non può essere un diniego dell’interesse o della passione civica e politica o un elogio dell’indifferenza. Piuttosto si tratta di educare questo afflato a un realistico senso della fallibilità umana, diretta conseguenza della nozione ebraico-cristiana di peccato originale. È una nozione, quella di fallibilismo, che trova ormai un vasto consenso anche in tutte le discipline scientifiche come ben messo in luce nel secolo scorso da autori come Peirce e Popper. Il fallibilismo non dimostra l’assenza della verità – sulla quale anzi misuriamo l’errore – ma conferma l’inevitabile approssimazione di ogni realizzazione umana, permettendo una visione anti-ideologica e non radicale.
Una radice più propriamente filosofica del politicamente corretto 4.0 va invece ravvisata nel nominalismo che sta alla base di tanta cultura postmoderna. Il nominalismo ha una lunga storia che affonda nel pensiero medievale. In generale, si può riassumere dicendo che il nominalismo ritiene che ci sia una separazione tra il significato delle parole, le cose e i nomi delle cose. A seconda delle versioni, poi, il significato può essere giudicato come non esistente o costruito a partire dall’esperienza delle cose o, come accade nell’attuale temperie culturale, come generato dai nomi che inventiamo o attribuiamo. Al contrario, il realismo ritiene che ci sia un nesso stretto e consequenziale tra significati, cose e nomi.
Quest’antica divisione, che percorre l’intera filosofia a partire dalla fine dell’epoca classica, si rivela nel politicamente corretto 4.0 come convinzione che cambiando o contestando nomi e atteggiamenti si possano mutare i significati delle cose. È un tipo di filosofia che va sotto il nome di decostruzione nella sua versione critica, spesso mutuata dalla filosofia francese della seconda metà del secolo XX, e sotto il nome di costruzionismo sociale o radicale per quanto riguarda la sua versione positiva, soprattutto in ambito sociologico (Maddalena-Gili 2017).
Legata a quest’ultimo discrimine filosofico si trova anche la questione della verità con cui termina l’intervento di Belardinelli. La reazione filosofica allo scacco dei totalitarismi novecenteschi, delle due guerre mondiali, della Shoah e dell’Holodomor è stato un rigetto del nesso stretto tra realtà e verità, alla ricerca di forme che impedissero la violenza perpetrata in nome delle “verità” assolute. Tuttavia, ciò ha portato a una critica e a un sospetto radicali nei confronti della ragione e della sua possibilità di raggiungere verità condivise e universali. E dal relativismo estremo con tendenze nichilistiche della fine del secolo scorso si è passati ora a un irrigidimento delle costruzioni nominalistiche, che porta al paradossale risultato opposto. L’anything goes della fine del Novecento si è trasformato nei diktat politicamente corretti attuali per cui non ci si può sbagliare nel seguire gli unici stilemi e abiti di azione previsti dalla costruzione sociale accettata e considerata come unica possibile realtà di riferimento.
Il paradosso è che chi ha continuato a definirsi realista si è trovato dapprima a difendere la solidità del riferimento alla realtà e ai suoi significati contro il mantra nominalista di derivazione nietzscheana per cui “non ci sono fatti ma solo interpretazioni” e ora si trova a difendere la possibilità di diverse interpretazioni del reale contro il mantra nominalista che vieta di dare nomi o seguire atteggiamenti non ritenuti inclusivi dalla maggioranza della società.
La risposta filosofica deve essere l’approfondimento di un realismo ricco e relazionale, che tenga in conto dei cambiamenti che avvengono nella realtà e nei significati, accettando ciò che è un effettivo approfondimento e rifiutando invece ciò che è privo di riferimento. Per fare un esempio, in ambito linguistico, è stata di grande aiuto la dichiarazione dell’Accademia della Crusca italiana che, entrando nel merito delle questioni del politicamente corretto, ha respinto come contrari all’uso dell’italiano, lingua in cui si pronuncia tutto ciò che è scritto, la marcatura dell’asterisco o dello schwa come finale neutro plurale (car* collegh*. Carǝ colleghǝ) e la ripetizione del termine al plurale femminile (candidati e candidate), ricordando che in italiano il neutro plurale coincide con il maschile (candidati) senza implicare alcun giudizio di genere. L’Accademia ha invece accettato la femminilizzazione dei termini con finale in –o (sindaca, ministra, ecc.) perché effettivamente più inclusivi. L’atteggiamento dell’Accademia italiana dovrebbe essere applicato anche agli altri temi di statue e testi andando a verificare caso per caso, all’interno dell’ermeneutica della loro epoca, quali siano le vicende storiche degne di revisione. Una discussione storica approfondita permetterebbe di recuperare le statue di Cristoforo Colombo e i testi di Omero e di non far riscrivere Dante o Twain, come purtroppo sta avvenendo nelle università americane. Un realismo ricco significa entrare nel merito delle questioni, guardando e studiando effettivamente la realtà, che è intrinsecamente luogo di significati, evitando la tentazione ideologica di buttare via le esigenze di giustizia sociale insieme alle loro realizzazioni più stupide.
Bibliografia
Accademia della Crusca (2023), Risposta al quesito sulla scrittura rispettosa della parità di genere negli atti giudiziari posto all’Accademia della Crusca dal Comitato Pari opportunità del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione, prot. 265/2023.
Del Noce, A. (1978), Il suicidio della rivoluzione, Rusconi, Milano.
Maddalena, G. (2023), Il pensiero di Vasilij Grossman, Rosenberg & Sellier, Torino.
Maddalena, G., Gili, G. (2017), Chi ha paura della post-verità?, Marietti, Milano.
Mastrocola, P., Ricolfi, L. (2021), Manifesto del libero pensiero, La nave di Teseo, Milano.
Rosboch, M. (2021), Augusto Del Noce: appunti su politica, istituzioni ed Europa in un pensiero attuale, in “Annali Augusto del Noce”, Politica.eu.
Sandel, M. (1996), America’s search for a new public philosophy, in “The Atlantic Monthly”, March, pp. 57-74.