“La libertà di educazione – scrive Paolo Terenzi – può indicare ‘due politiche’ che, per quanto molto diverse, sono inseparabili. La prima è il diritto dei genitori di scegliere, in base al loro discernimento e all’intima conoscenza dei propri figli, la forma di educazione che, secondo loro, può contribuire meglio alla crescita umana. La seconda è il diritto degli educatori di scegliere di lavorare in una scuola che rifletta le loro convinzioni personali e professionali sull’educazione, e di partecipare attivamente al mantenimento e allo sviluppo del carattere distintivo di una simile scuola’’. Il monopolio statale nel campo dell’istruzione – sottolinea ancora Terenzi – ha significative ripercussioni anche sul piano della libertà culturale: i meccanismi attuali che regolano il finanziamento delle scuole di fatto finiscono per violare la libertà religiosa di quei genitori che, pur non riconoscendosi nella “religione” insegnata dalle scuole statali, sono tuttavia costretti a pagare attraverso la tassazione per avere i propri figli indottrinati da questa “religione”, oppure debbono pagare due volte per poter scegliere’’. Da queste ed altre considerazioni scaturisce la proposta di un cambiamento radicale, atteso da tanti anni: lo Stato potrebbe erogare alle famiglie, le quali optano per una scuola paritaria, un contributo di istruzione che possa raggiungere una percentuale significativa di quanto lo Stato spende come costo medio per ogni studente (7mila euro). Questo contributo potrebbe essere, poi, integrato anche con i finanziamenti degli enti locali di Regioni e Comuni fino a raggiungere l’intero costo standard di sostenibilità per allievo. In questo modo si creerebbe un sistema imperniato su una concezione sussidiaria dello Stato: alle scuole, anche in virtù della tendenza progressiva verso l’autonomia, sarebbe consentito di elaborare progetti educativi che poi proporrebbero a famiglie, giovani, attori della società civile.
Oltre gli aspetti economici
La scuola paritaria (e privata) ha davanti a sé, in Italia, un futuro in competizione sul piano della qualità con la scuola pubblica. Secondo le valutazioni di carattere internazionale, la scuola primaria italiana risulta essere tra le più eque, ed è in linea con altri paesi (es. Spagna, Lituania e Repubblica Ceca) quanto a inclusione. Sarà comunque il caso di segnalare che io alle elementari avevo una sola maestra, così mio figlio, mentre mio nipote ne ha due. Le cose però cambiano, in peggio, nella scuola secondaria. Secondo i dati PISA, in Italia la percentuale di quindicenni con scarsi risultati è tra il 23% e il 24% sia in lettura che in matematica, con un gap in linea con la media dei paesi europei nella lettura e poco al di sopra in matematica. Solo il 10% circa degli studenti provenienti da un contesto socio-economico svantaggiato ottiene punteggi particolarmente elevati in lettura e una percentuale simile riguarda gli studenti con background migratorio. La scuola paritaria può essere in grado di realizzare obiettivi e standard che sono sempre più precari nella scuola pubblica.
L’autonomia gestionale, organizzativa e didattica
Si tratta di promesse mancate nella scuola pubblica, che rimane una struttura centralistica con un numero enorme di dipendenti sia docenti che amministrativi e tecnici. Peraltro, tutti i tentativi di una maggiore autonomia sono stati contrastati da un sindacalismo che è insieme ideologico e corporativo. Anzi, che ha fatto dell’ideologia uno schermo per il corporativismo. È divenuto ormai un luogo comune che gli stipendi degli insegnanti siano troppo bassi, rispetto a quanto avviene in altri Paesi europei. In larga misura, ciò è conseguenza della politica contrattuale che caratterizza il settore. La logica del “todos caballeros’’ resta dominante nel mondo sindacale della scuola: guai a meccanismi retributivi che premiano il merito o che incentivano la produttività; vade retro all’autonomia scolastica; avanti con l’assunzione dei precari senza troppi riguardi nella selezione.
La continuità didattica
È sempre più difficile garantire agli scolari e agli studenti quella continuità didattica che è essenziale alla loro formazione. Il reclutamento è condizionato dalla cosiddetta mobilità degli insegnanti titolari di cattedra. Quelle disponibili – per ragioni evidenti – non possono essere sempre a pochi chilometri da casa; anzi, in prevalenza sono nelle regioni del Nord, mentre gli insegnanti che le hanno “vinte’’ sono al Sud. È umanamente comprensibile che sia complicato trasferirsi; ma non si può pretendere che siano i ragazzi a farlo. Succede allora – con l’appoggio del sindacato – che si trovino tutti i pretesti per non spostarsi (un parente da assistere ex legge n. 104, la malattia, i figli minori, ecc.), fino a quando termina il periodo obbligatorio di mobilità. E si può rientrare. Così, al Nord i dirigenti scolastici devono trovare dei supplenti, per i quali, negli anni dopo, i sindacati chiedono una sanatoria per la stabilizzazione. Durante i due anni di chiusura delle scuole (l’unico caso in Europa), l’insegnamento a distanza è venuto avanti a macchie di leopardo per merito di dirigenti ed insegnanti disponibili ad effettuare quell’esperienza in modo volontario, spesso con i propri mezzi. È un tipico caso in cui si sarebbero giustificati emolumenti premiali per quanti si sono prestati alla DaD nell’interesse degli studenti. Appare invece assurdo riconoscere ad un’intera categoria i meriti di pochi. Poi, ci sarà qualcuno che si è chiesto – ogni qualvolta i sindacati rivendicano una stabilizzazione dei precari (abbiamo spiegato in precedenza come funziona la fabbrica del precariato nella scuola) – dove siano finite quelle decine di migliaia di insegnanti assunti negli anni precedenti. Sembrerebbe che il mondo della scuola non sia toccato dal fenomeno della denatalità; ormai il saldo è negativo anche includendo i nati da famiglie straniere residenti. È il caso di ricordare come il ministro Patrizio Bianchi commentò uno dei tanti scioperi per motivi assai discutibili effettuati nella scuola: “Non solo non c’è intenzione di fare dei tagli, ma di fronte alla riduzione prevista di bambini” che “dal 2021 al 2032 saranno 1 milione e 400mila in meno in classe, con le vecchie regole voleva dire 130mila insegnanti in meno mentre noi non interveniamo su questo. Noi fino al 2026 lasciamo totalmente inalterato il numero degli insegnanti proprio per poter ridurre la numerosità delle classi, ma dall’altra parte tutte le risorse che emergono, anche in presenza di 1,4 mln di bambini in meno rimangono nella scuola”.
La tirannia del “genere”
Come la mettiamo con la teoria del “genere’’ che pretende, in nome della libertà di insegnamento, di imporre addirittura, non una particolare ideologia filosofica, religiosa o politica, bensì una particolare visione della stessa natura umana? È il genere, secondo questa dottrina, che stabilisce, in ultima analisi, l’identità sessuale di un individuo. Non si è uomini e donne perché nati con certe identità fisiche, ma lo si è solo se ci si riconosce come tali. Non ci sono maschi e femmine ma ci sono semplicemente esseri umani, liberi di assegnarsi autonomamente il genere che percepiscono al di là dell’incomodo del loro sesso naturale le cui tradizionali specie diventano così delle categorie mentali superate, inadatte a rappresentare la complessità sociale moderna e che per questo vanno rimosse per “decostruire”, ossia, cancellare la natura, con l’obiettivo di smantellare pezzo per pezzo, un sistema di pensiero considerato obsoleto e persino reazionario, alla stregua dei peggiori disvalori. Al momento sono circa 200 le scuole che, ad esempio, hanno inserito la carriera alias nei loro regolamenti.
L’insidia dei nuovi “diritti civili”
Un’ ultima considerazione riguarda uno dei punti più controversi: come affrontare queste delicate problematiche a scuola con i minori. Un conto è educarli a rispettare la diversità da sé; è un altro paio di maniche spiegare loro che la diversità non esiste. Io non credo – come ho letto con grande dissenso – che si nasca omosessuali o eterosessuali; ma che lo si diventi. E che tanti di noi possono intraprendere e riconoscersi in ciascuna di queste attitudini in conseguenza di molti fattori che intervengono nella formazione della personalità. Per questi motivi ogni comunità familiare ha il diritto – sancito dalla Costituzione – di educare i figli secondo la propria coscienza e le proprie convinzioni; senza sentirsi colpevole di nulla se li si aiuta ad avere un orientamento eterosessuale. Certo, come in tutti i rapporti umani occorrono equilibrio, tolleranza e amore.