Il conservatorismo. Limiti di una definizione
di Dario Caroniti (Università di Messina)
Il pensiero conservatore si manifestò in Occidente in contrapposizione alla rivoluzione politica. Come quando Edmund Burke nel 1790 previde gli esiti violenti e autoritari della Rivoluzione in Francia e auspicò che la sua Inghilterra ne rimanesse estranea. L’Inghilterra, come da lui sperato, mantenne formalmente l’antico assetto costituzionale e giuridico, non rimanendo però immobile o estranea al progresso: semplicemente rifiutò culturalmente, prima ancora che politicamente, di accettare un canone innovativo subordinato alle leggi del progresso etico e morale dell’umanità. Per garantire questa sua diversità nacque un partito, strutturato su una mentalità conservatrice, come la definì Russel Kirk, che ingaggiò una vera e propria battaglia esistenziale contro tutte le manifestazioni politiche del processo rivoluzionario, dal marxismo al nazionalsocialismo.
Una dimostrazione di come questo articolato rapporto tra modernità e tradizione abbia potuto operare la si può emblematicamente riscontrare nella investitura baronale della band The Beatles. I testi dei brani erano intrisi di messaggi decisamente rivoluzionari sul piano etico e morale, ma nessuno dei suoi membri il 26 ottobre del 1965 rifiutò il titolo conferitogli dalla regina Elisabetta. L’Inghilterra poteva abbracciare anche le mode più ardite, pur rimanendo tradizionalmente in asse alla sua struttura costitutiva. Essa ha sicuramente patito le trasformazioni del 1968, senza che il conservatorismo fondante il suo ordine politico ne sia stato intaccato.
Anche nell’Europa continentale le prime contrapposizioni alla Rivoluzione furono coeve alla stessa, ma fallirono nei loro intenti. La Francia e tutti reggimenti politici europei subirono delle modifiche irreversibili sia sul piano politico istituzionale che su quello giuridico legale. Da quel momento non fu più praticabile la mera conservazione. Si iniziò a pensare a un ritorno al passato ma qualunque salto indietro nel tempo, come dimostra Eric Voegelin, è un passo in avanti: non si può neppure immaginare di tornare a degli equilibri politici e sociali che si erano affermati in una età passata. Ed esattamente di questo Burke aveva avvertito gli inglesi nella sua opera.
La Restaurazione del Congresso di Vienna, nonostante il nome, fu l’affermazione definitiva di princìpi politici e giuridici già imposti con la Rivoluzione. La conservazione dei restauratori consisteva, di fatto, nel tentativo di fermare gli effetti della Rivoluzione a un dato momento, arrestando le evoluzioni più radicali, pur mantenendo i presupposti della cultura illuminista, che il processo rivoluzionario aveva alimentato, e la gran parte delle riforme che essa aveva introdotto. Allo stesso modo erano però già stati altrettanto conservatori Napoleone, i termidoriani, i girondini e lo stesso Maximilien Robespierre, che introdusse il culto della dea Ragione contro i rischi anarchici determinati dal diffondersi del deismo.
A proposito invece di Joseph De Maistre, la sua contrapposizione alla Rivoluzione è evidente, così come l’avversione al modello restaurativo del Congresso di Vienna. Andando a guardare alle aspettative politiche, si potrebbe però notare che l’attesa di un uomo inviato dalla Provvidenza per restaurare l’ordine in Europa, profetizzato in Le serate di San Pietroburgo, non è che la versione cattolica dell’aspettativa messianica di uno Stato autoritario che fondi un nuovo ordine politico e morale, con buona pace dell’Ancien Régime.
Allo stesso modo, la dottrina tradizionalista, incentrata sull’idea di una Rivelazione primigenia della verità manifestata ad Adamo da Dio, e poi rinnovata da Cristo e preservata dalla Chiesa da Lui fondata, annichilisce il libero arbitrio e rappresenta la storia come un combattimento tra la Provvidenza e il male, nel quale gli uomini sono poco più che spettatori. Il tradizionalismo annulla al tempo stesso la differenza agostiniana tra storia sacra e storia profana, presupposto della distinzione tra città di Dio e città degli uomini, e la relazione tomista tra ragione e fede. Sicché l’aspettativa trascendente, la salvezza, cessa di avere una natura metastorica, per diventare immanente.
Il conservatorismo di De Maistre si risolve quindi nell’aspettativa della restaurazione e del conseguente ritorno all’ordine, risultato dell’intervento provvidenziale, la cui necessità storica è determinata dalla intrinseca debolezza della natura umana, compendiata dall’amore di Dio, che interviene nella storia umana, raddrizzando le storture, punendo i malvagi e premiando i buoni. In questo modo però la parusia diventa un evento mondano, e questa aspettativa salvifica si potrebbe ribaltare nell’idea modernista che, se il bene comunque deve prevalere, gli eventi della storia affermano in ultima istanza la volontà della Provvidenza: se il percorso della storia va verso uno specifico fine, questo non potrebbe che essere prestabilito dallo Spirito.
Da chi vince sapremo chi ha ragione. È questo il principio cardine dell’ordine politico dei Khan mongoli, dell’idea moderna secondo la quale la storia sia guidata e indirizzata dallo spirito del progresso, ma non certo quello della filosofia greca e del cristianesimo, né, di conseguenza, della Cristianità, intesa come civiltà europea. Che va quindi distinta dalla particolare applicazione storica nella quale la civiltà stessa si era sedimentata.
Per recuperare una forma coerente di pensiero conservatore europeo bisognerebbe quindi innanzitutto distinguere i principi dalla stessa tradizione. Riscoprire il loro fondamento sulla capacità noetica di percepire il divino e sulla fede trascendente in un Dio che ha creato l’uomo a Sua immagine e somiglianza, affermando la dignità della persona ma anche i limiti oggettivi dell’individuo e di qualunque costrutto umano.
L’esempio di come si possano stabilire in modo permanente dei princìpi che si collocano alla base della convivenza civile, senza per questo dichiararsi nostalgici di un particolare ordinamento politico, proviene dall’esperienza americana. La Dichiarazione di indipendenza subordina gli stessi presupposti della comunità politica all’affermazione di un Dio creatore che ha dotato gli uomini di particolari diritti. Il comune riferimento alla dichiarazione ha consentito alla cultura americana di affermare la democrazia rappresentativa e di accogliere le istanze del liberalismo e del progresso tecnologico senza mai intaccare i presupposti dell’ordine morale. religioso e sociale.
Peraltro, l’esigenza di un conservatorismo politico, espresso in maniera esplicita, ha iniziato a essere percepita negli Stati Uniti come una emergenza soltanto dalla metà degli anni Sessanta del Novecento. La penetrazione, soprattutto nelle università, della cultura rivoluzionaria, promossa dagli emigrati europei scampati al nazifascismo, ha in qualche modo intaccato non solo la fede religiosa degli americani, ma anche la loro fiducia nel fatto che il popolo e le sue istituzioni fossero espressione compiuta della volontà trascendente, alimentando l’esigenza di una ampia e radicale riforma morale, intellettuale e politica.
La contrapposizione a questa “pretesa” di novità ha generato un conservatorismo diverso da quello inglese, per nulla legato a protocolli e forme istituzionali del passato, basato sulla riscoperta dei valori classici della dignità della persona. Per questo essere conservatori negli Stati Uniti oggi ha un significato chiaro riguardo ai valori da difendere, come la vita e l’ordine morale e civile, mentre nel conservatorismo del continente europeo impera la confusione. Un conservatore in Italia, per esempio, potrebbe essere un neofascista o un militarista, un liberale nazionalista o storicista, un monarchico sabaudo o neoborbonico, un accentratore statalista o liberista federalista, un cattolico tradizionalista oppure un democristiano, e perfino un comunista nostalgico dello stalinismo, un difensore della razza ma anche un tutore dei valori atavici di accoglienza delle genti italiche. Insomma, tutto e il suo contrario, al punto che il temine stesso è così scivoloso da non essere utilizzabile, se non adeguatamente accompagnato da aggettivi che ne specifichino l’ambito.


